Praga agli occhi di Fermor (1934)


"
Priva del consueto avvicinamento a piedi, Praga rimane distinta da tute le altre città di questo viaggio. La memoria la circonda di una ghirlanda di fiori, un anello di fumo e la frangia di un biglietto [...]. Era come se fossi stato sparato da un cannone [...] per atterrare in una delle sue piazze più antiche, svolazzando insieme alla carta, al vapore e al fogliame che mi seguivano nella scia. [...]

Tutti i particolari - il flusso ascensionale delle cuspidi, le processioni di statue lungo le cimase dei ponti e i palazzi levitati - erano contornati di neve; e più in alto si arrampicavano gli edifici, più densi erano i boschi che avvolgevano la città vecchia.
Coperti di nidi, scheletri di alberi sollevavano la cittadella e la cattedrale al di sopra delle cime di una foresta invadente e riempivano il cielo di gracchi e gracidii.

Praga sembrava, e lo sembra ancora, non solo uno dei posti più belli del mondo, ma anche uno dei più insoliti. Paura, pietà, fervore, conflittualità e orgoglio, temperati da più miti impulsi di munificenza, cultura e douceur de vivre, vi avevano fatto sorgere un inconsueto assortimento di monumenti grandiosi e per nulla enigmatici. La città, tuttavia, era cosparsa di indizi più oscuri, più reticenti e meno facilmente decifrabili.
C'erano momenti in cui tutti i dettagli sembravano la punta delle dita di inspiegabili fantasmi. Questa sensazione ricorrente e un po' sinistra era rafforzata dalla convinzione che, di tutte le mie tappe, Praga era il luogo al quale la parola Mitteleuropa, con tutte le sue implicazioni, si addiceva di più.
La storia l'aveva incalzata pesantemente. Edificata cento miglia a nord del Danubio e trecento miglia ad Est del Reno, in qualche modo sembrava fuori mano; ritirata molto all'interno nello sconosciuto retroterra di un mondo che i romani non conobbero mai. (C'è una differenza tra le regioni che soddisfano questo antico criterio? Io credo di sì). Sin da quando i loro nomi furono messi la prima volta per iscritto, Praga e la Boemia costituirono il punto di intreccio e di conflitto più occidentale per le due popolazioni più numerose d'Europa: Le masse oscure e reciprocamente maldisposte degli slavi e dei teutoni; nazioni delle quali non sapevo nulla.
Infestata da queste due enormi ombre, la familiarità stessa di buona parte dell'architettura di Praga pareva più remota. Pure, la città era indiscutibilmente parte del mondo occidentale, e delle tradizioni delle quali l'Occidente va giustamente fiero, quanto Colonia, Urbino, Tolosa o Salamanca - o persino Durham a cui, mutatis mutantis, su scala più ampia e con molteplici aggiunte, assomigliava di sfuggita. [...]

Mi arrampico retrospettivamente su per la ripida città e ne riscopro a uno a uno i frammenti. Ci sono edifici rinascimentali, con padiglioni dalle arcate leggere e dalle logge poggianti su sottili colonne ioniche, come fossero miracolosamente giunti in volo dalla Toscana o dal Lazio, ma i palazzi delle piazze, la cittadella e gli scoscesi pendii ricoperti d'alberi appartengono al tramonto degli Asburgo. [...]

Un primo sguardo rivela una città barocca carica delle spoglie dei Cesari austriaci. Praga celebrava i diritti acquisiti dagli Asburgo per via matrimoniale sulla corona di Boemia e riafferma la soppressione discutibile degli antichi diritti elettivi dei boemi; e insieme alla supremazia temporale dell'imperatore, quest'architettura celebra il trionfo del paladino imperiale del Papa contro ussiti e protestanti.






Alcune chiese testimoniano dell'energia dei Gesuiti. Sono emblemi di pietra del loro zelo indomito nei conflitti religiosi. (La Boemia era un paese protestante all'inizio della Guerra dei Trent'Anni. Tornò cattolica alla fine, e sgombra dall'eresia quanto la Linguadoca dopo la crociata anti albigese [...]).



Nonostante questo scenario, uno sguardo ulteriore al dedalo di viuzze giù in basso rivela una città precedente di epoca medioevale, nella quale spiccano torri squadrate.

Un labirinto coperto dalle squame color ruggine dei tetti tardo medievali incastona gli splendori barocchi. Pendii di tegole simili ai tetti dei fienili aprono alla stregua di branchie file di lucernari piatti (un espediente medioevale per la ventilazione, studiato per consentire alla brezza di asciugare i panni). 

Edifici massicci si uniscono tra loro sopra arcate rinforzate dall'inclinazione di pesanti contrafforti. Case colorate erompono agli angoli delle strade nei cilindri dalla cima a cupola e negli ottagoni che avevo ammirato la prima volta nella Svezia, e facciate e frontoni sono decorati con timpani, arabeschi e gradini; gruppi di figure umane e animali sfilano solennemente in processione sull'intonaco dei muri; e giganti in altorilievo danno l'impressione di essere per metà murati vivi e di cercare il modo per liberarsi a forza di gomitate.

[...] Quando ci troviamo sotto gli archi gotici della cattedrale di San Vito, iniziò a formarsi un secondo convincimento. Praga era la ricapitolazione e la sintesi da quando ero sbarcato in Olanda, e anche di più, considerando che quella navata slanciata e l'arioso lucernario a vetrate verticali erano indebitati con tradizioni spirituali ben al di là della terra teutonica e del mondo slavo. Potevano essere stati eretti in Francia sotto i primi Valois o nell'Inghilterra dei Plantageneti.
L'ultimo dei fedeli stava uscendo alla debole luce di un estemporaneo raggio di sole. All'interno, lo strascico dell'incenso, quasi con un fruscio, si potrebbe dire, rimaneva sospeso tra i pilastri polistili.
Nascosta negli stalli lontani, una retroguardia antifonale di canonici intonava l'ora nona.
Sotto gli intradossi decorati con disegni romboidali e le lampade sacre di una cappella per le messe di suffragio, uno scrigno simile a un'Arca dell'Allenaza rivestita di broccato richiudeva i resti di un santo. Lampade a olio e file di candele illuminavano la sua effige in alto: rivelavano un mite sovrano medioevale con una lancia in mano, piegato sul suo scudo. Era niente meno che il <<buon re Venceslao>>. [...] 

Dall'esterno, se si esclude la parte superiore barocca dell'imponente campanile, la cattedrale stessa si sarebbe potuta considerare alla stregua di un elaborato reliquiario gotico. Dalla spinta collettiva verso l'alto dei contrafforti al colmo irto di spine del tetto a spiovente, era infilzata da una selva di linee verticali. All'altezza dei transetti, scale salivano a spirale, in un senso e nell'altro, entro prismi poligonali traforati, e contrafforti volanti irretivano l'intero edificio in una ragnatela di linee inclinate a raggiera. Sorretto in volo da una fila di mezzi archi trilobati, ognuno si essi portava una ripida processione di pinnacoli e la neve copriva ogni modanatura, come se la costruzione scagliasse di continuo lance impennacchiate di neve tra i corvi e le livide nuvole di argento vivo.






Mi ci volle un po' per comprendere che Vltava e Moldau erano i due nomi, ceco e tedesco, dello stesso fiume.
Scorre maestosamente attraverso la capitale come il Tevere o la Senna attraverso le città cui hanno dato origine; anch'esso è abbellito da isole del mezzo del suo corso ed è varcato da nobili ponti.
Tra chiese che si affollano e nuvole di alberi, rizzano la loro guglie due barbacani corazzati, come guanti d'armatura che afferrano entrambe le estremità di una spada, e in mezzo si estende uno dei grandi ponti medioevali d'Europa. Costruito da Carlo IV, rivaleggia con quelli di Avignone, Ratisbona e Cahors, ed è una sintesi del passato della città. Sedici arcate profonde gli consentono di raggiungere l'altra riva. Ogni arcata si innalza da un pilone massiccio e gli sproni di sostegno si protendono nell'impeto della corrente come una linea di forti.
Su entrambi i parapetti, a pochi metri di distanza tra loro, si trovano statue di santi, singoli o in gruppi, e mentre si osserva la curva del ponte essi appaiono come una popolazione sospesa in aria; uno sguardo all'indietro attraverso uno dei barbacani rivela la facciata di una chiesa dove ancora un altro stuolo di santi si innalza da una ventina di sporgenze.
A metà di un lato, e più in altro delle altre statue, si trova San Giovanni Nepomuceno. Fu martirizzato pochi metri più in là, nel 1393 - si dice abbia rifiutato, sotto tortura, di tradire un segreto ricevuto in confessione dalla regina Sofia. Gli scagnozzi di venceslao IV lo portarono lì per gettarlo nella Vltava, e il suo corpo annegato, in seguito recuperato e sepolto nella cattedrale, galleggiò portato dalla corrente sotto un cerchio di stelle.

In questo tentativo tardivo di rimpossessarmi della città, do l'impressione di aver sgombrato completamente le strade. Sono vuote come le vie di una stampa architettonica. 
Sopravvivono solo pochi fantasmi storici; un tamburo dal suono smorzato, le figure di un libro e l'eco dei disordini degli utraquisti qualche piazza più avanti - il brulicare dei cittadini e il traffico impetuoso sono scomparsi e le voci della città bilingue si riducono ad un sussurro.
                                                                                                                                                                "
Patrick Leigh Fermor - Tempo di regali
Le mie foto...2007

Nessun commento:

Posta un commento